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L'eresia del mito. Esposizione di Gianluca Sità tra suggestione e tradizione

8 maggio 2015
L'esposizione di un promettente pittore di origine calabrese al Museo Civico Archeologico
L'eresia del mito. Esposizione di Gianluca Sità tra suggestione e tradizione
Inaugurata venerdì 8 maggio, prosegue presso il Museo Civico Archeologico la suggestiva mostra di dipinti di Gianluca Sità, giovane e promettente pittore di origine calabrese che si è fatto conoscere nell'ambito dell'arte moderna con alcune esposizioni a Roma.

A distanza di quasi tre anni dalle "Suggestioni d'Antico" di Ivan Theimer e dopo l'eccezionale mostra "Dialoghi etruschi" del compianto maestro Mitoraj, i locali cinquecenteschi dello spazio espositivo tornano a ospitare una mostra particolare, giocata sui contrasti tra la visione artistica contemporanea e quella del mondo etrusco.

Dopo le grandi personalità, apprezzate dalla critica di tutto il mondo, si è deciso, dunque, di lasciare spazio ai giovani talenti. Si inaugura questa sfida con una personale di questo pittore calabrese che rimarrà aperta fino al 20 luglio. Per oltre due mesi, la sua gotica e decadente visione del classico si fonderà con le vestigia di una civiltà antica, e accompagnerà il visitatore in un viaggio ricco di emozioni.

"Con questa iniziativa – commenta il sindaco Francesco Landi – il Comune di Sarteano vuole arricchire l'offerta culturale per i cittadini, i visitatori e gli affezionati, nella convinzione che l'arte e l'educazione al 'bello' siano irrinunciabili componenti per uscire dalla crisi che ci attanaglia ormai da troppi anni".

L'operazione ha ancora più valore, se la si pensa come opportunità per un giovane pittore. Gianluca Sità nasce a Mammola, in provincia di Reggio Calabria, nel 1979. Trasferitosi giovanissimo a Roma per frequentare l'Accademia di Belle Arti, è stato allievo di Antonio D'Acchille prima e Giuseppe Modica poi. La pittura di Gianluca Sità è facilmente riconoscibile per quell'impronta surreale e onirica, impreziosita da un velo di adamantina nostalgia. La malinconia è rafforzata da un uso del colore, spesso cupo, mai aggrumato e perfettamente steso, quasi come se la pennellata stessa fosse atta a disvelare la struttura chimica delle cromie utilizzate, infondendo loro, invece, un respiro vitale oltre ad un'atmosfera senza tempo e senza spazio. Sità si preannuncia come la "scoperta" della primavera sarteanese, in un contesto suggestivo.


Gianluca Sità e l'eresia del Mito


"Gianluca Sità incarna alla perfezione la posizione anacronista; da qui il culto della forma compiuta che segna definitivamente la sua avventura artistica. A quale scopo la saldezza della forma? È presto detto: al riduzionismo ascetico delle Neoavanguardie, oppone la sopravvivenza della pittura la quale, grazie al rifiuto di qualsiasi disfacimento, celebra l'opulenza della propria volontà di non sparire. A quale scopo, ora, la resistenza della pittura? Il fine è quello di raccontare l'incredibile, quell'impossibile sconosciuto all'antiarte; se ne deduce necessariamente, che il nemico giurato del nostro è Jeff Koons il quale celebra il banale quotidiano, e quindi ciò che si oppone a qualsiasi forma di profondità. In Sità l'incredibile ha un nome e un cognome precisi; quelli del mito classico che l'artista però si preoccupa di manipolare ed alterare per avvolgerlo nelle spire del proprio delirio. Il mito, in quanto tale, è fuori dal quotidiano e dall'attualità; Karl Marx si chiedeva come potessero convivere Mercurio con le ferrovie. L'artista risponde che, infatti, non convivono perché il mito respira unicamente l'aria rarefatta (anche se corposa) della menzogna e dell'"errore". Ecco la popolazione "divina" e inesistente che Sità mette in campo; una "dea" è senz'altro la strega Invidia e un semidio è quell'Achille che raggiunge l'Ade per poter riabbracciare il suo amasio Patroclo. Da qui appunto, il quadro che racconta quello che non è mai stato narrato e che solo il pittore conosce. Notoriamente è una dea quell'Artemide che, nella Vendetta di Artemide, dopo aver massacrato Atteone ritorna tranquillamente in cielo nell'indifferenza sublime che segna la vita (non a caso incredibile) dei numi. Infine è una dea, la Sfinge del Cielo della Sfinge; la divinità dell'insolito e dell'enigma. Nel quadro di Sità, il mostro non è neanche accompagnato da Edipo e colloquia con un universo che non offre alcuna risposta e alcuna soluzione. O meglio, una soluzione esiste, ed è quella dell'arte; la sfinge, a guardar bene, è l'arte la quale, nell'allucinazione neo simbolista del nostro, sfida il cosmo e sfarina la realtà opponendo a questa la sua capovolta verità. Detto questo, concludiamo chiedendoci perché definiamo "eretica" la rivelazione propostaci da Sità. Seguiamo il ragionamento del pittore. L'universo creativo e concettuale del nostro si regge su di una triplice cattedrale costituita dall'Anacronismo, dal mito e dall'eresia. In realtà, la "radiazione fossile" che si ascolta nel cuore dell'intera produzione di Sità, è l'eresia. La scelta anacronistica è eretica nei confronti delle Neoavanguardie; la pittura, infatti, è eresia nei confronti della "morte dell'arte", e il mito è eresia nei confronti di quell'antireferenzialismo che, come ha dimostrato Filiberto Menna, segna potentemente la modernità e la contemporaneità. Per il giovane artista tutto questo viene riassunto nell'eresia finale nei confronti della posizione costruttiva . Per l'autore del Cielo della Sfinge, l'arte, nel suo profondo e nel suo vertice, è assolutamente irriducibile alla realtà; da qui l'iscriversi di Sità nella linea Böcklin – De Chirico – Surrealismo. Di questa negazione del mondo il mito è senz'altro il fiore all'occhiello e la puntuazione di forza; attraverso il mito si spalanca trionfalmente il controuniverso dell'immaginario. Questo è il luogo regale dell'invenzione e dell'illusione; l'immaginario è inoltre il regno del sogno, dell'eros e delle storie più belle. Il fine ultimo di Gianluca Sità è quello di fare di noi degli onirodipendenti, per cui quando cadiamo nel cuore mortifero della realtà, si spalanca, attraverso l'incredibile, il diamante di una surrealtà che non conosce riposo e che segue le mosse dell'artista. Grazie a queste, accade l'epifania dell'infinità delle immagini ipotizzabili e insieme fantasmagoriche: l'unica infinità che, argomenta con forza il pittore, ci è data in sorte e che mette in campo la nostra resurrezione".

Robertomaria Siena

Nelle terre della perdita

"Il paesaggio come luogo interiore, il mito e la natura che si intrecciano in una pittura declinata verso un nuovo simbolismo: Gianluca Sità ritrova elementi della grande stagione tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo per ricomporli in modo inattuale all'interno di un sistema visivo in cui la tradizione della grande pittura nordica e quella dell'arte italiana si fondono in un corpo dalle sembianze enigmatiche.
Gianluca Sità è un giovane artista che dà molto valore alla tecnica pittorica e all'esercizio fondamentale del disegno e che si muove sempre da un'attenta progettazione grafica delle sue opere, da disegni preparatori e cartoni che si trasformano poi in opere definitive attraverso un processo lento e accurato di stesura pittorica. Nei quadri di Sità, infatti, le velature si sovrappongono con una meditata disposizione delle pennellate e delle trasparenze che, nelle opere più riuscite, riescono a comunicare l'inquieta vibrazione di una materia cromatica leggera ma, allo stesso tempo, incombente nella sua fremente presenza e nella sua sotterranea agitazione.
La pittura di Sità si colloca pertanto in uno spazio allucinato dove l'orizzonte taglia come una lama visioni di leggerezza e crudeltà, di morte e di splendore, definite dall'artista attraverso uno stile meticoloso fondato sulla struttura "antica" di un disegno che la pittura rende denso di premonizioni e di melanconie.
Il pittore si imbarca dunque in un percorso simbolico, dove il dialogo con l'orizzonte e le sue allusioni metaforiche si rende lancinante nell'avvicinamento verso l'Isola dei Morti, l'immortale opera di Arnold Böcklin che ha visto approssimarsi alla sua riva tanti artisti, letterati, filosofi e protagonisti della storia per cercare di scoprire il volto di quel luogo ignoto da cui - ci ricorda sempre l'Amleto di Shakespeare- nessun viaggiatore ha mai fatto ritorno.
Seguendo quella regola di attrazione che vede gli artisti e gli intellettuali del Nord e Sud Europa attrarsi reciprocamente, Sità colloca quindi le sue scene di memoria classica in contesti nordici e con decisi rimandi a un clima germanico di paesaggio e di pittura, tra le suggestioni di Arnold Böcklin, Anselm Feuerbach, Max Klinger e quelle di Caspar David Friedrich, in una visione che ritrova ascendenze romantiche e che costruisce la stimmung angosciosa delle sue tele più intense, dove l'eredità del mondo antico viene trasposta in un contesto agghiacciato e drammatico in cui l'impeto viene frenato e trasformato in un sentimento di tragico presagio.
Nei suoi cieli grigi e abbrunati, Sità ritrova allora le origini archetipe della sua terra di origine e ridà vita al mito greco attraverso il suo sistema visivo di matrice prevalentemente nordica, riscoprendo l'incombere tragico del destino che pesa sulla vita degli uomini e mettendo in scena le punizioni feroci inflitte dagli dèi agli sventurati che hanno osato sfidare la loro superiorità rompendo barriere e spingendosi troppo in avanti, fino a provocare a loro stessa caduta e la loro morte atroce.
In questo modo, Achille defunto, ma ancora integro nel suo corpo eroico, naviga per ritrovare il suo compagno Patroclo sull'Isola dei Morti trasformata in Ade, mentre troviamo la testa decapitata di Atteone trasformato in cervo per avere osato spiare Artemide e l'ultima piuma superstite delle ali di Icaro dissolte dal sole al centro di paesaggi desolati, di lande sabbiose prossime al mare o di deserti rocciosi illuminati dalla luce gelida di una luna metafisica.
Si può così intuire come la pittura di Sità sia guidata dal sentimento della perdita, da una cesura affettiva ed esistenziale che chiude la sua opera in una morsa melanconica e splendente per portarci in un labirinto invalicabile, un luogo dolente dove motivi di speranza possono essere solo il dolce sorriso di una madre perduta e il suo volto amorevole tracciato sulla tela attraverso la lieve perfezione di un disegno che custodisce la memoria per lenire il dolore, per dare un significato alla perdita di una persona cara che sembra riecheggiare nelle figure archetipe del mito, separazione che l'arte da sempre ha il compito di trasfigurare per aiutarci, con le sue forme sempre rinascenti, a compiere il viaggio della vita e il superamento definitivo del lutto".

Lorenzo Canova


Per info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. 0579269261 o 0578 269212

Ingresso: compreso nel normale costo del biglietto (intero: 4,00 €, ridotto: 3 €)