Sarteano: il mio luogo segreto in Toscana

Tracce Barbariche al Castello

20 luglio - 17 agosto 2014
Al Castello le foto di Giovanni Lindo Ferretti e della Corte Transumante di Nasseta
Tracce Barbariche al Castello
Dal 20 luglio al 17 agosto al Castello la suggestiva mostra fotografica "Tracce barbariche" con fotografie di Alessandra Matia Calò e Andrea Grassi sull'attività della Corte Transumante di Nasseta con Michele Rossi.
Orario: dalle 10,30 alle 13,00; dalle 15,00 alle 19,00 e dalle 21,00 alle 23,30.

"Questa esposizione fotografica, accolta dall'Amministrazione comunale di Sarteano all'interno di questi suggestivi spazi medievali con forti echi del tempo che fu, vuole essere un invito a seguire le tracce della Corte Transumante di Nasseta, libera compagnia di uomini  cavalli e montagne fondata da Giovanni Lindo Ferretti. "Tracce" nella duplice accezione del termine: tracce fotochimiche, ombre e luci rimaste impresse su carta sensibile, ma anche impronte umane di alto spessore artistico, orme e segni di visione equestre e non solo.

Nostra intenzione è far avvicinare a questa straordinaria dimensione artistica, unica del suo genere in Italia, e contribuire alla diffusione del messaggio che la Corte ostinatamente si propone   di lanciare tramite spettacoli "romantici e coraggiosi", al contempo stimolo verso una riflessione sul significato e senso che conserva il cavallo nel XXI secolo. Dopo essere stato componente essenziale dell'umanità, utilizzato nel corso dei secoli per il trasporto delle merci e la circolazione delle persone, nelle battaglie e nei lavori agricoli, negli sport e nei giochi circensi, a cosa serve oggi il cavallo? Questa esposizione ne è una risposta: intende evocare nei visitatori una reminiscenza di tanta bellezza di forme, armonie, movimenti di cavalli e cavalieri.

Se a salvare il cavallo
la bellezza non basta
l'uomo è condannato sulla terra
che la sua stessa utilità
ben più che soluzione
diventa problema.
(Giovanni Lindo Ferretti)

La storia dell'arte lo dimostra: graffiti, mosaici, disegni e dipinti testimoniano l'idea di bellezza e di proporzione che hanno rispecchiato nel tempo le forme dell'uomo e del cavallo. La tradizione letteraria ha attestato la complessità e la complicità del sodalizio uomo-cavallo. "Fu la bellezza a decidere che uomo e cavallo fossero destinati ad incontrarsi e frequentarsi. Poi subentrò la forza, la potenza, complice la conformazione fisica e psichica dei due". È stato il progresso tecnologico a vanificare il tutto.

La bellezza in questa mostra è impressa nelle fotografie scattate nel 2013 dall'artista Alessandra Matia Calò e da Andrea Grassi nei chiostri benedettini di San Pietro di Reggio Emilia, dove la Corte tiene ogni anno, durante il solstizio d'estate, lo spettacolo "Saga, il canto dei Canti".

L'ultima rappresentazione in questa "sorprendente cavallerizza della modernità", di grande suggestione e forza emotiva travolgente, si è tenuta dal 20 al 23 giugno 2014, con spettacoli sold out e forte interesse da parte della carta stampata e mass media. Ho vissuto in Corte una settimana intera, condividendo tensioni e intense emozioni. Al seguito di Giovanni Lindo Ferretti da vent'anni, e suo biografo, in quei giorni ho finalmente capito dove mi aveva portato il mio lungo pellegrinare. Mi sono reso conto che seguire le tracce della Corte è mettersi in viaggio, l'inizio di un nuovo cammino. "Così è stato per la caccia, così è stato per la guerra, così nella ricerca della divina scintilla che abita l'uomo. Così è per noi", dice la Corte. Così è anche per me. E dopo aver visto questi scatti fotografici, spero vivamente che lo sia anche un po' per voi".

Michele Rossi


La Corte Transumante di Nasseta
La Corte Transumante di Nasseta è una libera compagnia fondata nel 2010, il giorno di Santa Giovanna d'Arco, da Giovanni Lindo Ferretti e due amici amanti e allevatori di cavalli, Marcello Ugoletti e Cinzia Pellegri, con l'intenzione di domare e addestrare razze maremmane e d'Appennino, e praticare un teatro contemporaneo anomalo, per collocazione geografica (abitano tutti e tre nell'Appennino tosco-emiliano), stilistica e culturale.

Il nome dato alla compagnia trae ispirazione dalla corte agricola di una comunità di monaci benedettini che nell'Alto Medioevo portò negli Appennini la scrittura, l'arte, la coltivazione della terra e l'allevamento di bestiame, in una sola parola la civiltà. Anche per Ferretti e i due compagni di avventura praticare teatro equestre è ricercare una possibilità di sopravvivenza per chi ha scelto di vivere, come loro, sui monti, cercando di valorizzare quello che esiste da sempre: i rapporti umani, i cavalli e le montagne.

Una dovuta precisazione: l'operare della Corte non è  riducibile alla pratica dei centri ippici, ma si inserisce nella tradizione equestre. Il loro progetto ha una vera e propria dimensione artistico-letteraria, vuole trasmettere un sistema sapienziale e culturale che il rapporto uomo-cavallo ha cumulato nel corso del tempo. Ripensare il rapporto uomo-cavallo è difatti ripercorrere la storia della civiltà, scoprire che molto di quello che sembrava essere definitivamente scomparso continua a vivere. Perché non è vero che le antiche arti sono morte, possono ancora fiorire ma necessitano di un contesto in cui presentarsi. La Corte è questo contesto, si prefigge di trasmettere e salvaguardare questo patrimonio.

Spiegando il loro operato artistico, amano dire che è "il restauro di un'opera d'arte" che ci è stata consegnata dalla storia dell'uomo e che loro cercano di salvaguardare offrendola al futuro. Un restauro non facile, certo: c'è polvere e sporcizia ad oscurare ciò che brilla e alcune muffe organiche imbiancano le venature da conservare. Per compiere questo recupero, complessa opera di conservazione, usano la potenza evocativa della parola, suono e senso che, rifuggendo impegno e denuncia, diventa canto epico, una musica che sostiene e amplifica un racconto che affiora dai millenni, e ovviamente dei cavalieri, che con grande eleganza di movimenti rievocano la nostra grande tradizione equestre che fece dell'Italia un Paese importante e essenziale in ogni angolo dell'Europa, passato di cui oggi purtroppo non resta più traccia né memoria.

La Corte è composta da tre Signorie, ciascuna delle quali è dotata di una spiccata e peculiare capacità: il signore della parola, il signore dei cavalli e la signora della Corte.

Il signore della parola
Giovanni Lindo Ferretti marca il suo importante ruolo nella scena artistica italiana da oltre trent'anni.  È stato l'ideatore nei primi anni Ottanta assieme a Massimo Zamboni (altra personalità sui generis del nostro panorama musicale), della storica band punk filosovietica CCCP Fedeli alla linea, l'ultima avanguardia artistica italiana del Novecento: un vero e proprio fenomeno culturale dotato di una possente carica estetica, che con la sua genuina teatralità ruppe in maniera radicale con i canoni musicali imbolsiti e merlettati. La cosa più destabilizzante che la nostra musica abbia mai osato partorire. Soffocati nel 1990 per "mancanza d'aria", i CCCP ci hanno lasciato indimenticabili pezzi (come Emilia paranoica, Spara Jurij, Madre, Amandoti e Annarella) entrati a far parte del nostro patrimonio collettivo.

L'illuminazione del punk è stato l'inizio della lunga avventura artistica di Ferretti. Abbandonati i veementi proclami e le alte tonalità, l'artista cerretano ha fondato con l'amico Zamboni e altri compagni di avventura i CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti), un gruppo indie-rock arrivato nel 1997 con suoni aspri e taglienti in cima alle classifiche delle hit parade. Dopo un entusiasmante viaggio fatto in Mongolia, dove ha potuto verificare i disastri compiuti dal comunismo ed è entrato in stretto contatto con la Creazione, Giovanni  è stato coinvolto da un vortice di cambiamenti interiori. Ha cominciato a provare una profonda insoddisfazione per la vita che stava conducendo, anche di quella artistica, nonostante il crescente successo di pubblico. Giorno dopo giorno, la quotidianità monca della dimensione trascendente è divenuta per lui insignificante. Si è ritirato nella casa patriarcale di Cerreto Alpi, trovando la giusta dimensione che consente all'infinito di scendere in lui.

Scioltosi il sodalizio con Zamboni, nel 2001 ha fondato il gruppo i PGR (Per Grazia Ricevuta), così chiamato per la gravissima malattia da cui è guarito in maniera miracolosa Ferretti. Un'esperienza musicale colta e raffinata, assolutamente originale per testi e musicalità, terminata nel 2009. Si è quindi avvicinato alla musica popolare, collaborando per diversi anni con l'etnomusicologo Ambrogio Sparagna.

Oggi Ferretti si autodefinisce "montano italico cattolico-romano" e si considera un "presidio residuale", cioè una specie di inutile presidio di una civiltà scomparsa per sempre, e un fatto residuale per quanto riguarda la sua vita, essendo conosciuto ai più come il cantante dei CCCP, o dei CSI e PGR. Come cantore, lo si può raramente ascoltare in chiese, pievi romaniche e cortili di castelli quando con un recital omaggia, accompagnato solo da un violino, il Creatore e testimonia il suo rinnovato sguardo sul mondo.

Il signore dei Cavalli
Marcello Ugoletti, nato e cresciuto nell'Appennino tosco-emiliano, ha sempre vissuto circondato da pascoli, boschi e animali. Di scarpe grosse e cervello fino, come tutti i montanari è di poche parole ma ha un grande cuore e un prezioso dono, un talento indiscusso: capire la psicologia dei cavalli e dialogare con queste meravigliose creature. "Per ottenere l'ubbidienza di un animale la cui forza fisica è di molto superiore alla sua, l'uomo deve servirsi soprattutto della persuasione", ha scritto l'ippologo Paul Vigneron. Marcello lo sa bene questo. Per i suoi meriti il signore dei Cavalli è stato il primo italiano, dopo molto tempo, ad essere invitato alla Real Escuela Andaluza de l'Arte Ecuestre a mostrare la sua indiscussa maestrìa e straordinarie capacità, riscuotendo un grandissimo successo all'accademia iberica d'arte equestre più rinomata al mondo.

La quotidianità di Marcello è scandita dalla luce del sole e ha per sottofondo sonoro il nitrito di giumente, fattrici, puledri e stalloni. Si alza ogni mattina all'alba per dar loro da mangiare, addestrarli a rotazione con perizia e assoluta dedizione fino all'imbrunire, imponendo prima a se stesso poi agli animali una disciplina ferrea, fatta di rigore e allenamento. La vita di Marcello è una vita libera più di quanto non si possa immaginare. "La libertà è una forma di disciplina", cantavano i CCCP, e Marcello ne è la prova vivente.

Il signore dei Cavalli non è semplicemente un addestratore. Ha scelto con Cinzia di "allevare con cura" (da cui deriva in lingua inglese "thoroughbreds", "purosangue") cavalli disagiati: abbandonati, maltrattati, sgraziati, alcuni destinati al macello e a diventare polpette. Le sue grosse mani toccano criniere, zoccoli, cavezze e staffe, mentre il suo corpo copre distanze montando a passo, galoppo e trotto cavalli a cui la Corte ha dato nomi bellissimi (Socrate, Cangrande, Elegante, Assolo, Assenzio), alcuni ereditati dalla mitologia greca (Enea, Tancredi, Athos, Tetide). Gli ultimi arrivati sono Neasseta Renna e Diamante. L'orizzonte della Corte è una mandria di cultura.

La signora della Corte
Cinzia Pellegri, reggiana, ha scelto i cavalli perché i cavalli hanno scelto lei. Ha iniziato a disegnare quadrupedi non appena è stata in grado di tenere una matita in mano. Non desiderava altro giocattolo da piccola, che non fosse un cavallo. Poi li ha accantonati, come tanti altri desideri, per percorrere impervie strade private, scoprire la gioia della maternità e intraprendere faticosi ma stimolanti percorsi professionali, che hanno permesso lei di viaggiare e conoscere mondi lontani.

I cavalli sono stati però l'amore mai spento, che ha continuato imperituro a galoppare nella sua mente. "Occhi che s'accendono d'improvviso, fuochi sopiti in un bagliore rinnovato, reminiscenze epidermiche d'una indimenticabile alleanza", confessa. Insaziabile di letture e inappagata dalla vita, in incessante tensione verso qualcosa di indefinito Cinzia si è riavvicinata ai cavalli per fortuita e intima casualità, intuendo che questi animali possono lenire quel dolore profondo che alberga nel cuore di ogni individuo e possono far sbocciare l'amore, nel suo caso con il signore dei Cavalli.

Il teatro equestre è stato il fisiologico compiersi della sua identità. Ha cominciato a trascorrere tutto il suo tempo libero tra i cavalli: li ha visti crescere e cambiare, e lei si è evoluta ed è cambiata con loro. Ogni sua attività, anche la più materiale, è permeata di spiritualità e intellettualità. Si è fatta amazzone dotata di infinita grazia e celestiale bellezza. "Trattenere e avanzare" è il suo motto e l'insegnamento che vuole trasmettere ai suoi allievi. Lei lo fa con inesprimibile eleganza e apparente semplicità.

Cinzia è la signora della cura e dei giorni, la Signoria di servizio che ha l'assoluto comando della Corte. Della Grancontessa Matilde di Canossa, ella possiede non solo la forza straordinaria e l'innata libertà di agire, ma ne è, a ben guardare, la reincarnazione. "La Signoria dei cavalli e la Signoria della Parola le sono subordinate, riconoscendone la centralità trovano dimora, rinnegandola si costringono ad una marginalità che li condanna ad essere cavallanti e ciarlatani", ha scritto di lei Ferretti.

Cavalli maremmani e d'Appennino
"I nostri cavalli sono specchio in cui rimirarci, uno sguardo di luci ed ombre", afferma la Corte. Sono fermamente convinti che all'origine della nostra storia ci sia un patto tra uomini e animali, e che i cavalli abbiano accompagnato e dato all'uomo l'energia necessaria per costruire la civiltà. Da lavoro, da basto, da sella, da slitta, ribelli da guerra o potenti da soma, sono stati per tanti secoli buoni compagni dell'uomo. "Residuali di ondate barbariche migratorie, incroci da rimonte militari e, adesso, materiale inconsapevole per progetti di salvaguardia tesi a un miglioramento che li sta estinguendo o mostrificando". Da mezzo secolo a questa parte gli equini hanno perso la loro funzione storica e sembra che l'uomo non abbia più bisogno di loro. Dopo essere stati la base materiale della civiltà sono divenuti cavallo/vapore, unità di misura dell'era industriale.

Quella della Corte è un'impresa, non c'è dubbio, ma un'impresa di alto valore umanistico, una "necessità estetica, urgenza vitale, gesto cosmico" che tenta di salvaguardare e rendere futuribile quella parte di tradizione che rende l'uomo tale, nella sua accezione più alta. Le tre Signorie hanno scelto il cavallo per trasmettere questo messaggio, perché gli equini permettono all'uomo di elevarsi, non solo fisicamente. Queste meravigliose creature possono essere un argine allo sgretolamento, alla dissoluzione terminale di un paesaggio storico e culturale, perché "un cavallo – dice Ferretti – possiede un forma di empatia per cui tu puoi fregare gli altri uomini ma non il tuo destriero".

Il loro non è quindi solo teatro equestre, ma un altisonante messaggio che arriva dritto ai cuori, anche di vecchi e bambini che piangono e si commuovono vedendo i loro spettacoli. La loro arte equestre è qualcosa di magico di cui non si è mai visto niente del genere prima, un'arte plastica la cui forza barbarica è affidata al corpo dei cavalieri e dei cavalli, e a dei sorprendenti movimenti in un dialogo serrato con la musica e le parole depositarie di un stupefacente messaggio, colmo di pathos. Forse è l'ultima nostra possibilità di salvezza. A noi il compito di accoglierlo e trasmetterlo.

Un teatro anomalo: equestre, barbarico e montano
Il teatro equestre di Giovanni, Marcello e Cinzia non ha confronti nel panorama italiano e europeo. Per trovare forme simili di equitazione bisogna andare in Spagna, all'Accademia reale, ma quest'ultima è basata su una diversa tradizione. Forse un prestigioso precedente è il teatro zingaro di Bartabas, nome d'arte dietro cui si nasconde un rampollo della buona borghesia parigina che dopo un apprendistato nel teatro di strada ha portato il suo cabaret espressionista fatto di cavalieri, saltimbanchi, oche, falchi, asini e cavalli per tutto il mondo. Clément Marty ha fondato un'accademia e costruito una sorta di tempio pagano alle porte della capitale francese, in una costruzione di legno nella cui pista circolare di sabbia realizza giochi equestri. Questo fortilizio misterioso, fuori dal tempo, resiste all'inclemenza della storia come un primitivo che dovrebbe essere sbaragliato e sommerso dal progresso e benessere invece persiste con un'armonia che materializza le mancanze dell'uomo contemporaneo.

È impossibile fare un paragone tra il teatro di Bartabas e quello di Ferretti, da tutti i punti di vista, se non per il fatto che praticano la stessa idea di teatro, quella di raccontare cioè storie con i cavalli. Quello francese può contare sui bellissimi spazi della reggia di Versailles e veloci mezzi di trasporto messi loro a disposizione dallo Stato; la Corte si muove con forze proprie e a ritmi da transumanza. Se Marty si sostiene con cospicui finanziamenti pubblici, la Corte fa affidamento solo sull'affetto degli spettatori. I teatranti della Corte disdegnano i camerini e necessitano di scuderie, non calcano palcoscenici ma arene, chiostri e campi incolti verdi, non mangiano al ristorante e non dormono in hotel ma bivaccano in accampamenti attorno alle stalle riscaldati da un mantello di stelle. Il loro è "teatro barbarico montano", giocato tutto sugli elementi della Creazione. "È la cosa più punk e vitale che abbia mai fatto: vero giro di boa, un ricominciare la stessa cosa che facevo da giovane, però vista da un'altra angolazione", confessa Ferretti. Un'espressione avanguardistica insomma, equivalente alla potenza dei CCCP.

È "teatro" a tutti gli effetti perché nasce da libretti d'opera, ma anche presagio, egloga, scaturigine, requiem, vaticinio, ode, romanza ma principalmente partitura musicale basata sul ritmo ormai desueto dell'epica e sull'incedere letterario che contraddistingue Ferretti. "Barbarico" perché messo in scena senza nessun artificio scenico ma solo con cavalli maremmani, considerati animali grezzi e ombrosi, senza valore dal punto di vista spettacolare, che tuttavia incarnano la storia della gente di montagna che nei secoli è sopravvissuta transumando annualmente con le greggi dall'Alpe alla Maremma. L'ostinata volontà della Corte di portare in scena questa razza vuole essere un modo per valorizzare una storia millenaria, ma anche di sfatare la brutta fama che siano razza indomabile e intrattabile. È "barbarico" anche perché fatto con un mix di fatica, potenza sonora e forza delle parole. Infine "montano", perché concepito sui monti ed è uno spettacolo che trae vita dai paesaggi appenninici e dai cavalli di quelle terre.

"Saga, il canto dei Canti"
Il teatro della Corte Transumante di Nasseta è l'epica del contrafforte montuoso dell'Appennino tosco emiliano e dei suoi abitanti, dalla preistoria ai giorni nostri. Nel loro maggiore spettacolo Saga, il canto dei Canti raccontano dei celti liguri, della conquista romana, dei barbari, del Regno matildico e del mito della Maremma, di un'epopea che va dal primo cavaliere alla potenza meccanica. Un teatro fatto di sudore e carne, l'unico modo che loro conoscono per raccontare lo scontro avvenuto tra due ere umane, tra l'epos industriale e quello premoderno, e del rapporto uomo-cavallo che ha segnato la storia della civiltà fino al secondo Novecento. "Canto dei Canti" perché vuole rimarcare a futura memoria la bellezza dei cavalli appoggiandosi a delle coinvolgenti strutture coreografiche e all'intensità del canto e dei recitativi di Ferretti.

Centrale nella pièce è la figura del bardo, non solo cantore dello spettacolo, ma vero portavoce della memoria non scritta delle loro terre. Nei racconti degli aedi, infatti, si ritrovano la cultura celtica, le orde barbariche, il potere di Matilde di Canossa e le truppe normanne dirette verso la Terrasanta durante la Prima Crociata. Tutte presenze che hanno dominato l'Alpe e lasciato una traccia nei testi epici e cavallereschi, nel folklore e nella novellistica di quei luoghi. "Nessuna intenzione di rievocare un passato ad uso di comparse in costume e beneficio di ciarlatani, piuttosto la necessità di evocare un futuro che renda merito all'epica che l'ha generato, a chi ci ha preceduto", bensì di rappresentare il "senso tragico dell'esistere" e la "capacità di meraviglia: la storia dell'uomo su questo pezzo di terra. Noi non siamo più quell'uomo, la sua era è finita, ma di quell'uomo non possiamo fare a meno", dice Ferretti.

Seguendo il naturale susseguirsi delle nascite e della crescita dei cavalli, di miracolosi incontri e sempre nuove collaborazioni (da ultimo con il signore della musica antica, il pluristrumentista Paolo Simonazzi, e il signore del ferro e del fuoco, l'illustre maniscalco Stefano Falaschi), "Saga" è uno spettacolo vivo, muta e si accresce ogni anno, così come continua il racconto dell'antico legame esistente tra uomini e cavalli.

Qualcosa che rimarrà scolpito nella storia, oggi ne sono più che mai certo, e lo resterà attraverso e grazie al compagno più antico dell'uomo nel suo cammino secolare: il Cavallo.

Michele Rossi


Mappa